Nel tempo degli assassinii-
-in quella trascinazione sua
riecheggiata da ognuna delle torri di corallo-
avrebbe languito sempre fino al ritrarsi,
nel fondo delle fosse oceaniche,
– degli scompartimenti disseccati-
e nel dosaggio del cloralio
( nel verde avviluppo a reperire certe risposte esauste,
quandanche le labbra stesse non avessero colore alcuno).
Esaspera allora lei la casta lussuria,
e le mirabili disavventure moltiplica
continuamente fantasticando:
mettevano la smania
( se non una follia cronica,
o una aberrazione passeggera)
la catastrofe reiterata,
quel palingenetico dolore.
la Sua perfezione la lasciava fin sgomenta,
non diversamente dai consolatori di Giobbe.
Ciò che la toccava,
era la impotenza inerme delle anime.
chiamava – quella sua- la deviazione.
abbruciava dunque vivo, il quiescente,
davanti al sangue caldo
della macellata bestia…
( e preti male in arnese
potevano starsene seduti,
a meditare sulla estinzione delle carni,
quella esaltazione patogenica,
in prossimità di una chiara curva di risoluzione:
ma ne avevano sentito parlare solo gli iniziati..)
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