La donna arrivata a quel punto- cercò di dare al pugnale un’ultima occhiata circolare , come se volesse imprimerselo fotograficamente nella mente, e lo tenne di nuovo maldestramente – e con una mano sola- ancora per un lunghissimo istante, osservando questa volta in modo particolare l’impugnatura nera e lucida che presentava dei risvolti in simil- ottone dorato allo stacco della base piatta –con poi delle volute, delle specie di alette laterali ai bordi estremi- ; sul manico del pugnale c’era pure disegnato , anzi finemente cesellato -su una placchetta applicata sulla sua parte centrale- quello che sembrava un fiore stilizzato ( e che a lei sembrò una riproduzione del giglio- simbolo comunale della signoria fiorentina, chissà perché le venne in mente Dante addirittura, come un flashback, incongruo)- il resto era di un nero specchiato a scacchi quadrangolari, che pareva far rilucere ancora di più la filettatura bilaterale della lama lucente.Di colpo parve diventare timorosa, e , con un movimento di foga leggermente trattenuta, cercò di riposizionare il pugnale nel punto esatto dove l’aveva rinvenuto, al di sotto di quel materassino che nessuno prima di lei aveva sprimacciato e forse mai lavato, nell’angolo a sinistra di quella lunga panca di legno di una tonalità molto chiara e che si trovava a occupare pressocchè totalmente una della pareti di quella cucina fumosa e eternamente tenuta all’oscuro da ogni spiraglio luminoso – anche di luce naturale- per via delle imposte chiuse anche in pieno giorno e strette contro certe grate metalliche di spessore massiccio e mal ritinteggiate di un nero opaco, che fronteggiavano quei vetri che la donna aveva così difficoltà a tenere puliti, anche perchè i due lati estremi della panca occupavano ambedue ben più della metà dello spazio prospiciente i davanzali delle due finestre inchiavardate .
Dopo avere riinfilato quel pugnale dal manico tozzo e verniciato di nero nella sua guaina di cuoio, si assicurò di fermare anche la parte superiore al sistema di abbottonatura- anche esso di rigido cuoio marrone scuro- chiudendolo anche con l’ausilio di un legaccio un po’ sfilacciato, forse il residuo di un nastro di seta di color rosa pallido.Una volta fatto questo, con meticolosità estrema coprì il pugnale con un pezzo di cartone- forse strappato a una scatola contenente calzature -a sua volta immerso in un groviglio fatto di numerosi filamenti di lanugine formati dalla polvere accumulata, e da legacci e piccoli spaghi estremamente logori :quando- rivoltando il materassino- aveva scorto il pugnale lei aveva cercato di memorizzare tutto quello che l’occultava sia pure malamente, le era subito parso di essersi imbattuta in qualcosa di malsano e che esigeva tutta la sua attenzione -e alla fine ricoperse il tutto con dei fazzolettini di carta appallottolati
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