IL GIORNO DOPO (3)


Aveva fretta, una fretta  ambigua, una specie di sensazione tortuosa , le sembrava quasi di iniziare a provare una accelerazione coartata delle sue pulsazioni e di ogni suo minimo movimento ,si sentiva   sopraffatta , una specie di soffocazione progressiva senza cause reali e che interessasse l’intero suo corpo, temeva di   stare ricadendo- in una sorta di allucinato dejavu che morbosamente la riportava indietro nel tempo di parecchi anni, nel giorno esatto del funerale della madre e del resto lei  visualizzava spesso il suo corpo trasportato fuori dalla macchina e sdraiato in prossimità del guardrail e l’amica di una sorella che toglieva dalla borsa un minierogatore di ossigeno – in un episodio di parastesia degli arti., processo che cominciava dalle mani – strette in un irrigidimento   parossistico –ma che ben presto si sarebbe propagato anche agli arti inferiori , l’ iniziale fibrillamento trasformato  in una deformante sovrapposizione delle dita rese artigli, quasi che le articolazioni cercassero di rinchiudersi in una diversa concatenazione di ossa ,il tutto mostruosamente similare a un fenomeno di predeterminata paralisi totale provocata da collasso interno., da mancata ossigenazione dei tessuti e dei muscoli , tutti gli accerchianti  sintomi di una possibile affezione di incerta natura,di impossibile diagnosi. , un vero e proprio apparato di morsa metallica a stringere sempre più, portandola a soffocazione.
Subitaneamente niziò a sentirsi osservata dai vicini, nell’arrivare si era accorta di due grosse monovolume  parcheggiate nel prato antistante la loro abitazione, le imposte della portafinestra che dava sull’unico  balconcino dalla  sanguigna pavimentazione di mattonelle in gran parte divelte- lo si vedeva benissimo passando lateralmente, a lei pareva inquietante, come era possibile, si trattava di persone benestanti-  erano accostate per mantenere il fresco- forse da lì la stavano spiando, magari la figlia della signora vedova  con quella voce da cantatrice di romanze–invece tutte e tre le finestre superiori erano totalmente spalancate  e non si vedeva nessuno ondeggiare nel buio dell’interno, eppure lei lo stesso si sentiva  osservata- non era poi così strano, visto il posizionamento delle abitazioni, la visuale diretta nonostante l’ampia cerchiatura delle ormai alte  piante  di bambù, la possibilità di affacciarsi ogni istante e dare un’occhiata tutt’attorno .Come una estranea che stesse –in quell’ora di sole e di totale silenzio -ordendo un delitto, un’azione criminogena sia pure raffazzonata maldestramente – e un po’ per il panico montante un po’ per evitare di essere fermata da qualcuno- subito sali facendo leva sul bastone le due gradinate di pietra, che bordavano lo spazio della veranda – stava sempre molto attenta a non poggiare i piedi sulla griglia rettangolare di metallo che faceva da stuoino era da un po’ che si era convinta che il padre in quella sua   caduta rovinosa  avesse battuto il capo, magari sul vertice tagliente di uno dei due angoli occidentali addirittura, scivolando nel pantano di neve che occludeva  quella massiccia intelaiatura ferrosa,che era in contiguità della seconda aiuola laterale contornata anche essa di aguzze pietre del luogo,scelte per trattenere armonicamente l’ampio cespo di essenze profumate e un abusivo nocciolo che si stava massicciamente inerpicando sulla facciata .Infine aprì- con un movimento leggermente trattenuto nonostante la foga interna- la massiccia porta di legno chiaro usando  la piccola chiave appesa a un ritaglio attorcigliato di lucida stoffa  rossa

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