Franz Von Stuck
Nel leggere Villa Dominica Balbinot si diventa coraggiosi. E’ bene non pensare affatto che sarà una passeggiata addentrarsi nella sua Poesia. Il solo semplice gesto dell’aprire il suo libro “Febbre lessicale” acquista un valore simbolico cruciale, diventa rito magico, trascendenza, potenza subliminale. I suoi versi sono come discese agli Inferi e trasudano di percorsi lunghi e soffocanti, di trasformazioni alchemiche susseguenti, incalzanti, mistiche. Il lessico è ricercato ma sempre indirizzato verso una precisa linea esplicativa del “Dominica-Pensiero” e della particolarissima percezione che la Balbinot ha del mondo e dei suoi abitanti. Del malessere del vivere raccoglie ogni sfumatura, lacerandola con precisione chirurgica e acuta sensibilità in un immaginario fatto di cupa terra e abisso, di morte incombente a cui nessuno può sfuggire. Manipola la lingua, la rende plasmabile sotto colpi di duro patire, la storce, la batte, la inchioda per poi amarla d’una dolcezza inquietante che striscia non vista, fra gli sterpi e le putrefazioni del rifiuto alla resa. Non c’è quindi resa all’inevitabile, al dolore, alla morte; avviene dunque che la lotta s’inasprisca rivelando l’irosa natura d’uno spirito indomabile, agguerrito, impavido. Alle brutture del vivere s’accosta una bellezza squarciata, dilaniata, rinnegata dalla crudezza del mondo, la morte s’accende di vivezza che brucia e trasfigura il reale che riluce di peccato. Continua a leggere
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