SOTTO GLI OSSESSIVI IRIDATI CIELI- recensione di AUGUSTO BENEMEGLIO


1.Creatura femminile.

Qualcuno come Pietro Citati ha paragonato la struttura della lingua italiana ad un’immensa creatura femminile, simile alla gigantessa negra di cui parlava Baudelaire. Lo scrittore sa di dipendere completamente da lei: ne è schiavo; potrà scrivere solo ciò che lei gli permette. Ma, al tempo stesso, egli sente di esserne signore assoluto. E’ un po’ il caso di Dominique Villa, una poetessa dallo stile inconfondibile, originale , che reca in sé le stimmate da primo romanticismo germanico , della tenebrosità, il senso dell’orrido e della funerea desolazione , ma anche quello decadente di Baudelaire , sempre sospeso tra la benedizione celeste e quella diabolica , il senso del mistero e della morte, insieme all’arte divinatoria di una Cassandra dei nostri tempi
che riesce a comporre, o scomporre, la parola in modo quasi alchemico , parola, che attinge a una memoria di formazione classica continuamente rielaborata , in cui c’è un po’ di tutto , i greci, i latini , la letteratura medievale , i termini arcaicizzanti mistici della Bibbia e della mitologia, della filosofia, scienza, magia occulta, il sogno, l’inchiostro, il vocabolario dell’io e del tempo , marmi e venature ramificate , il ritmo spezzato, l’intaglio, il solco, la sinuosità, i frammenti del pane eucaristico , l’ossessione , la lentezza, il labirinto , le rotture sintattiche , le tenebre, gli indugi, Eschilo, Pindaro, Cristo, i dialettismi barocchi, i neoclassicismi foscoliani e il respiro di Holderlin. Ma c’è , soprattutto, un’orditura di linee essenziali e una struttura portante solida e precisa che contraddistingue il proprio linguaggio , la cifra stilistica e contenutistica, le forme di vita, il suo modo di essere , ovvero il “daimon” che è la nostra scelta di vita e il nostro destino

2. In viaggio con Dante

La causa e il fine di qualsiasi arte – diceva Stevenson –  è di costruire una struttura , che può essere di parole e suoni, di atteggiamenti mutevoli , di figure geometriche, presenza cellullari, mosaico e sortilegio, un dialogo di tempo  e di sangue , tra il visibile e l’invisibile, trasformare ciò che è relativo e immaginario in vita assoluta .

In questa sua ultima breve silloge , composta da  sei poesie , sembra che Dominique sia andata un po’ a braccetto nell’Inferno con il nostro padre Dante, ma senza una guida illuminata come Virgilio… Ed è  quindi tornata da noi , sulla terra,  con ancora più misteri ,dubbi esistenziali e ultraterreni . Ma cosa ha visto “Sotto gli ossessivi iridati cieli?”

Qualcosa di terribile
( di un crudele manierato fascino)
era in quelle eroiche secche:
orrore, cieli posticci, vasto delirio
( e le notti più grandi
di quanto sia immaginabile,
nell’attimo del pallido grido primordiale)

 

Non è mai facile parlare di Dominique Villa  e  della sua poesia se non si è fatta esperienza dell’oscurità come principio basilare  e se non si conoscono le sue personali “Illuminazioni” ,( miniature e rischiaramenti) e stagioni all’Inferno (spettrale desolazione, notti gridi e orrori) , la sua impazienza quasi tragica, che la rende  quasi cieca , errante e pellegrina , abbandonata sulle rive di un desolato naufragio, ma con l’anima pura , quasi un simbolo cristiano primordiale che fa profezie.  Una poesia, -diceva Valery, – deve essere una festa dell’intelletto, ma anche una visione profetica , alla Blake, che in fondo aveva letto solo due libri: La Bibbia di re Giacomo e Il paradiso perduto di Milton, ma sapeva vedere l’altrove :

 

“Ecco il fiume di parole
di tempo di sangue
quelle visioni,
gli angeli e la città di ghiaccio
– oscuri nello splendore…”

3. L’APOCALISSE

C’ è una delle sue liriche , “La notte nasceva dalle notti” , che sembra una rilettura dell’Apocalisse di San Giovanni, che in questo caso , però, diventa la sua Apocalisse , un tentativo di dare al comune vulgo il segreto del genere di vita che lei crede di aver scoperto ,  una specie di testamento, un ultimo sforzo per farsi comprendere dai molti che non l’hanno ancora ascoltata , o non sono riusciti a capirla, proprio per la sua “oscurità”.  Ma questa  Rivelazione  “femminina “ nutrita di luce assoluta e di tenebra assoluta , di gioia e di morte, di una poetessa che  ama la tragedia, la forma pura , la nobiltà dello stile, la distanza dalla mente, la verità nuda  o velata e l’armonia  è – al contrario delle apparenze –   un anelito di speranza e di vita, sebbene Villa condanni aspramente i nostri modi di vivere contemporanei.

E là vi era una donna,
era ritta davanti al muro della città morente,
guardava quei fuochi
che non si sono ancora spenti sui monti

quegli occhi che il mio ricordo morto
non riconobbe:
esstrangolata dagli scapolari,
era come un fiore in boccio
-ma esausto…
e rifece la annientata supplica,
gridò come un animale
capace di ripugnanza.
( Essi non videro
il fiume autunnale soffocato dalle foglie
– quella spianata di polvere inquieta-
il coagulato cristallo delle lacrime).

4. Le tremende vite dei poeti

Nella poesia di “ Tra tutti quei grigi duri e brutali” ,

“…Gli alberi di fronte alla sua finestra
le parvero coperti di fiori selvaggi e spampanati
nello splendore rosa piombo
de l’organico disfarsi,
nel bagliore nudo
della luce obliqua.
Di sabbia nera erano i laghi,
e mercurio erano le acque,
qualcosa di
primitivo ,crudele -e poco devoto
era ovunque:
il mondo si manifestava dunque nel crimine,
negli incubi immobili,
in quella emorragia terribile
( la carne spiccava come
una intrusione imprevista)
– e fra predatori apicali…

s’avverte un poco il richiamo all’ultimo dei racconti di Dublino di Joyce , “The dead”,  che a sua volta si rifà all’inferno dantesco, ma nel “bagliore nudo / della luce obliqua “ io rivedo il senso del destino della poesia e delle tremende vite dei poeti : un Holderlin vagabondo per le strade del mondo , o chiuso nella grigia  torre sul fiume,

Vi erano solo le morti torri,
una gioia crudele,
quelle declive parti con le disgiunzioni tutte:
nella cupa rettitudine la penitenziale pratica,
la dendritica derivazione
( e la Incisura ,la elementare verità nuda).

e  poi Baudelaire , paralizzato, cieco da un occhio, sifilitico, Verlaine tra i rifiuti di Parigi a raccogliere cicche sui marciapiedi, Poe trovato pieno di alcool e di vermi, moribondo , tra il letame e la spazzatura in una strada  di Baltimora, Marina Cvetaeva  che si impicca , appesa ad una trave della stamberga in cui è costretta a vivere ,  Joyce , alcolizzato e terrorizzato della propria immagine e dai ragni che lo inseguono sotto le coperte, e  lo stesso Dante , seminudo , infreddolito , tremante di febbre e di mortale solitudine nell’esilio delle paludi mefitiche di Ravenna.Insomma, nella sterminata pianura di Armageddon , dove il Bene e il Male  lottano in eterno, i poeti sono sempre soccombenti.  E allora…

   “Chi allora avrebbe dovuto poi
pronunciare le omiletiche interpretazioni esatte,
la prima eulogia?
Qualcuno forse dei portatori della peste
– del calvario?
( E fra quanto tempo
sarà allora sferrato il prossimo attacco,
– e ne l’allargato abisso?…)

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Una Risposta

  1. Cara Dominique, spero che ti arrivi questo messaggio augurale. Non riesco più a lasciare commenti nello spazio sotto iltesto degli articoli perchè la mia password viene rifiutata. Mi spiace. Ti auguro di trascorrere bene queste festività e, come usa e per quanto possibile, un felice anno nuovo.

    Fulvio Sguerso

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