ERA INVERNO (3)


Con delle vecchie coperte cercò di approntare un giaciglio comodo e in posizione defilata rispetto a ogni manufatto pesante o spigoloso,ormai temeva gli allucinati scontri notturni del cane reso folle( questo era ciò che lei aveva cominciato a pensare dopo la furia distruttiva di cui aveva dato prova nel salotto) da quella sua accelerata condizione di cecità e di progressivo anchilosamento artritico, condizioni morbose che sempre più spesso lo obbligavano a gemere : e il suo era un gemere stridulo e anch’esso scomposto, le parevano grida umanoidi su un fondo di parossistico rabbrividimento generale ,come se l’universo tutto fosse dunque contrassegnato da un demente ululato perenne udibile solo in specifiche aree temporali, in indefinibili cesure spaziali simili a buche cavernose , in una sorta di vacuum magnetizzato che rendeva meccanicistico ogni possibile determinarsi di fatti e comportamenti, e ognuno di essi unicamente sotto l’alea del torbido, dell’accavallarsi ambiguo e crudele anche dei minimi e involontari gesti biologici legati alla pura sopravvivenza.
Prima di uscirsene all’aperto– avrebbe finalmente respirato un po’di aria pura- raccolse da terra uno dei tanti volumi( ce ne erano accatastati anche nel vano della porta di comunicazione poi murata ) eredità naturale della famiglia che originariamente vi aveva dimorato, lei ne stava facendo la cernita, anche se ormai era del tutto convinta che in quei cartoni semisbrindellati non avrebbe trovato che tomi ponderosi che discettavano monotoni e algidi di vite di santi e di rigide regolamentazioni a carattere moraleggiante, oltre a quei tradizionali innumerevoli messali dalla solita copertina nera e dalle friabili pagine filigranate d’oro smuovendo le quali fuoriuscivano santini di martiri e di preti o familiari defunti da molto, fin dall’inizio del secolo precedente.

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