…Quel giorno era intenzionata a riempire le numerose interruzioni elettriche -dovute ai sovraccarichi di in antiquato impianto limitato a pochi watt e che a ogni accensione di un ciclo completo della lavatrice si determinavano con susseguente abbassamento del salvavita e spegnimento immediato di ogni apparecchiatura -per due cose che poteva fare: continuare a leggere un libro ambientato in giamaica, e utilizzare in tablet per riportarvi osservazioni e impressioni,di quelle che piacevano a lei,non lineari ma traccheggianti e nervose,come a seguire morbosamente la medesima inteleiatura -rigida stretta che non invitava in alcun modo all’abbandono molle e sdilinquente- di quella sorta di dormouse in cui si era per la primissima volta posizionata, bassa contornata da una bella struttura a sbalzi di legno caldo e chiaro su una tappezzeria paglierina ricca di grandi rose immerse in contorsioni di fogliame ramificato. Ecco,la luce naturale proveniva dall’ unica finestra,spinta sul lato sinistro e incuneata in una sorta di vano rientrante,che la faceva parere chiusa in un restringimento ottico e obliquo: le tendine di un rosso ammattonato lasciavano intravedere un cielo biancastro e fronde ancora verdi di vari alberi ficcanti in alto. Tutto il resto della stanza si presentava chiuso
,anche la porta di entrata,che immetteva in un minuscolo spazio sul quale si dipartivano due alte vetrate a battente,con modanature grigie :lo smeriglio immergeva quel lato in una tonalità azzurrata e liquida,tremebondamente ipnotica in quella particolare atmosfera di freddo ottobrino….
La stanza invitava a una sorta di rivisitazione complessiva,con quella suggestione creata perfino artificiosamente da rimandi e accostamenti non lineari e eterodossi di mobili e oggetti,il cui effetto complessivo ad un occhio estraneo pareva essere quello di una stratificazione incongrua e perturbante.Solo alla proprietaria piaceva terribilmente come avesse lottato per riuscire in qualche modo a dare forma alla sua mente eclettica, ai suoi interessi molteplici e pervasivi.
Dalla sua posizione abbassata sulla dormeuse poteva sogguardare l ‘unica finestra e attraverso le rosse ammollate tende il panorama esterno dove si affollavano sullo sfondo che pareva nebbioso e bagnato le fronde di vari alberi sempre più alti man mano che si distanziavano rispetto alla abitazione, il più vicino quell’anno si era ingrandito morbosamente e toccava quasi la finestra del piano superiore,ogni tanto dallo studio i vetri tintinnavano come toccati dai rami mossi dal vento.
Quello era l’albero che aveva iniziato per primo a ingiallirsi,le sue foglie a cadere sui gradini e sull’impiantito esterno di pietra arenaria.
Non sapeva di che albero si trattasse, una sua vicina che aveva studiato agraria aveva parlato di un ciliegio osservando le sue foglioline,quando si era trasferita li’ in quella porzione semiabbandonata aveva capito che era da tempo eradicato ma che non curato cresceva stentamente, esattamente in una aiuola semicircolare racchiusa in un sopralzo colmo di terra stretta da un bordo di pietra di un unico pezzo: allora era solo un affusto ramoso di impossibile sradicamento, ogni volta che lo si tentava di fare pareva rinascere più tignoso di prima.aveva resistito anche a un piccolo incendio.E ora dopo una antecedente perfida siccità in cui ogni efflorescenza si trasformava pressoché subitaneamente in filature trasparenti e afflosciate prive di vita,era sproporzionato in quella sua vorticosa altezza e ramificazione allungata verso il tetto e parimenti ricurva nel piano più a terra,dove nell’angolo verso le scale durante l’estate si era determinata miracolosamente una tettoia a fare ombra ,una dolce e naturale cupola.
Ma unicamente l’estate rifulgeva ossessiva- e falsata ambiguamente,una immagine da cartolina :quello era un angolo di totale pervasiva naturalità incuneato tra fredde pietre smottanti,e durante i lunghi inverni ogni cosa veniva come pervertita da un che di allucinante che patinava come una cappa collosa l’insieme di un panorama brullo e irto,che evocava truci delitti ben occultati .Perfino morfologicamente vi era qualcosa di innominabile, di mostruoso nella sua essenza,li predominava un primivitismo animalesco,osceno… E lei era sola,sarebbe stata costretta a improvvisarsi detective in quel defilato villaggio rurale ideale anche per un possibile ritorno delle stragi vandeane controrivoluzionarie,alla ricerca di colpevoli creati ad hoc,artatamente. Doveva farlo,era fatalisticamente e moralmente obbligata.D’altronde se lo era sempre sentito ,che non avrebbe dovuto in alcun modo trattenersi lì, la sua mente era troppo acuta, sapeva essere fredda,e questo non era una cosa buona,le si sarebbe rovinosamente ritorta contro . Fin dai primissimi anni della sua infanzia una immagine le si era fissata morbosamente nel cervello, non aveva subito capito di che cosa quello squadrato edificio a due piani recintato da un appezzamento scosceso la cui cancellata in alcuni punti toccava il guadrail stradale -emerso da nebbie fumiganti- fosse richiamo o deformazione, più volte negli anni era ricomparsa sotto forma di incubo: una bianca abitazione posta incongruamente nella angolatura estrema di una strada a tornanti,dalla quale si dipartiva un abbrivio precipitoso che ben presto si sarebbe incuneato su un percorso contornato da quelle definibili come massicciate enormi a gruppi disallineati,strutture simili a poggi stratificati,a silhouette arcaiche di grosse bestie dormienti poggiate sulla linea sinuosa di un torrente una volta ricco di acque che potevano assumere anche tonalità di marina.E l’aveva poi individuata la casa, e la zona precisa,una casa di confine quella casa degli incubi,nella sua mostruosa banalità che pervertiva ., e tutto attorno un mondo verminoso nascosto da efflorescenze disseminate maniacalmente e continuamente ricrescenti,in un panorama stretto e immobilizzato ,a occludere,a nascondere l’ insano,a glorificare il perenne atto di chi sempre compie un delitto che rimarrà impunito, li sul bordo melmoso, e nello sguardo dei complici.
Era un andare indietro alla ricerca delle primissime prove, anche di quelle più insignificanti, e lei avrebbe appuntato ogni cosa, tutto ciò che le poteva servire ,già in gran parte lo aveva fatto. Si alzò dalla, dormeuse,mise da parte il tablet .
Le pareva di avere udito un rumore come di un oggetto caduto o se qualcuno fosse inciampato ,sapeva chi stesse per arrivare senza alcun preavviso,un giovane che si muoveva come se fosse o immaginasse di essere un piccolo animaletto selvatico capace solo di muoversi quando non c’era nessuno in giro,sempre verso l’ora del crepuscolo, che di inverno era un crepuscolo eterno.
Lo sogguardò per qualche secondo da una porzione libera della finestra,non pensava che lui la potesse vedere, non guardava diretto mai,neppure quando davanti a sé aveva un interlocutore,tutto di lui – corporatura e atteggiamento- era estremamente sfuggente,un essere sparuto in miserevole fuga anche da se stesso…
Ne aveva pietà, provava un disagio che tendeva a permanere per parecchio tempo, anzi per giornate intere,anche quando dopo inenarrabili tentativi di porre mano a riparazioni o sistemazioni di mensole o oggetti di arredamento lei lo forzava a tornare a casa propria senza avere portato a termine pressoché nulla,anche se a sentire lui se ne intendeva di tutto,e i suoi erano lavori di esattarifinitura,aveva visto fare cosi e basta,nessuno poteva muovergli contestazioni di sorta.Quando da sotto lui batté con insistenza sul ripiano del tavolo esterno(purtroppo non le era ancora venuto in mente come sistemare una suoneria capace di avvertirla anche a distanza,adatta al contesto specifico)lei si limitò a restarsene ferma,doveva dargli l’ impressione che non ci fosse nessuno in casa:non aveva nessunissima intenzione di rovinare il resto della sua giornata avendo a che fare con la sua sparutita,quello sguardo roteante di selvatichezza famelica di un essere che non trovava le parole giuste ,mentre cercava di affrontare un dialogo standosene semimuto,con la consueta mano destra infilata dentro la tasca, eternamente anchilosata pur non avendo nessuna patologia specifica.Quella volta non aspettò troppo a andarsene,forse la madre lo aveva preavvertito di tornarsene presto, e del resto il crepuscolo era sceso subitaneo, il tragitto che lo aspettava non era eccessivo ma presentava qualche criticità,su una poco illuminata e inasfaltata strada in compagnia di un cagnoletto che pareva eternamente denutrito e che aveva il nome di un personaggio d’opera lirica-e tagliando poi obliquo per arrivare prima sul pendio antistante il gruppo di case di quella seconda frazione defilata che immetteva a sua volta in poggi e poggetti lasciati a inselvatichire tra boscaglie e anfratti che subitaneamente si ritorcevano in strapiombi occultati da arbusti di ogni sorta,un aggregato frammentato e ritorto di panorami erti che si aprivano in scarti ripidi e senza dolcezza.”ah -sospirò-Meno male che se ne è andato, ogni volta che mi tocca avere a che fare con lui,mi sento sopraffatta,vorrei solo urlare,non ci si rende conto,non ci si rende conto,e poi..e poi..ah.. ,ah meglio non pensare una figura incongrua non gli si può fare alcuna osservazione quando lavora, diventa subito violento perfino temibile e poi… e poi.. non usa mai la mano destra la lascia pendere inerte ha un che di molle di ambiguo,ho anche notato che spesso viene preso da un tic,da una maniacale forma ossessiva di continuo insistito grattare con quella stesa mano immota alcune specifiche aree esposte del suo corpo pallido e ossuto..Penso che abbia gravi sottaciute problematiche – del resto sua madre non mi ha parlato chiaramente di quale sia la sa condizione- e non so che fare non lo si sente mai arrivare i suoi movimenti sono a scosse …come furtivi ..non mi piace non so come comportarmi i miei lavoretti meglio me li faccia da sola ..”Subito cercò di reimmettersi nella lettura ,ma quel libro con la sua rigida copertina di pelle rossa trovato casualmente in biblioteca aveva una trama rabberciata,uno stile involuto,che non le piaceva per nulla,aveva perfino un effetto spiacevole , anzi disagevole, la cosa piu semplice sarebbe stata smettere, ma perfino quella forzatura che si era autoimposta nel continuare a leggerne le pagine era anche essa morbosa, come una spinta strana a concentrarsi una volta di più sulla ricerca ossessiva -e ovunque-di note stridenti,di fatti improbabili agenti sempre sul fondo ,di atti persone e situazioni reali e allucinatori nel contempo,lei ormai ne era consapevole: quella zona semioccultata da un verdeggiare infestante che ben presto si sarebbe trasformato in brullezza aspra e tediosa, un manto gelatinoso e ricoprente la sostanza sassosa e scheletrizzata, quel posto dove purtroppo se ne doveva stare-era il posto esatto, quello della migliore ambientazione possibile – e anche immaginabile ,dati gli elementi naturali e quelle particolari presenze umane ,perché lei con la sua mente analitica e la mole di appunti tenuti negli anni su qualsiasi esperienza e sensazione ,potesse rilevare le linee di demarcazioni sottostanti e poi dare una struttura organica al romanzo che si era sempre proposta di scrivere,ed era l’ora di mettersi all’opera,senza ulteriori derive…Sarebbe stata disposta a tutto, anche a legarsi alla gamba della sua scrivania preferita, pur di portare a compimento definitivo quel romanzo :sarebbe certo stato un romanzo noir, si disse sicura la donna.
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Ringrazio molto per la,lettura Yume No Kamen
Un saluto)