Il Mare geologico e la sua lenta canzone
Poesie di Villa Dominica Balbinot
Oskar Kokoschka – La sposa del vento
Questa è una poesia che scandaglia i paesaggi come una telecamera, paesaggi violenti come sono quelli all’inizio dei tempi e quelli che annunciano la fine di ogni era. Paesaggi che sono un feroce miscuglio di tutti i colori e di tutti gli elementi della tavola periodica. Predominano i colori freddi, ci sono è vero, anche macchie di colori caldi, tanti rossi, ma è come se fossero raffreddati, sono colori ridotti a vibrazioni di onde elettromagnetiche, tingono cose belle e vive ma immerse in un substrato morto e tetro.
La soggettività viene trasfigurata nel paesaggio, che diventa a sua volta una persona, un paesaggio-corpo come quelli contorti e tormentati delle tele di Kokoschka, che si dibattono chiedendo conto della loro esistenza ad una poesia composto da una materia pastosa e assolutamente immanente, nella quale si finisce per rimanere invischiati, non ammette nessuna forma di trascendenza, nessuna possibilità di fuga.
Di fronte a questi paesaggi viene da pensare all’inferno dantesco più profondo, la palude del Cocito, ma in Dante l’inferno è sovrappopolato, pullula di schiere di dannati ammassati l’uno sull’altro, questo l’inferno è vuoto, i dannati ci sono ma sono pochi, se ne intuisce solo la presenza effimera, se queste poesie fossero quadri
Il dolore umano sarebbe confinato nell’angolo in basso a destra,
i morenti gemevano negli angoli deserti, incolori , figure tormentate che si agitano sulla terra dentro uno spavento, come Giobbe dentro la balena.
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