DAL CELLARIO DELLA CARNE
La poesia è il farmaco che apre ogni volta la ferita e ne spinge fuori la materia in eccesso, il marciume, l’infetto. Per i poeti che hanno coraggio.
Medicina e cura, dolore e pausa, dentro un respiro più fondo, di aria più pura che per un attimo caccia i miasmi; ma neppure l’aria pura, incorrotta, è salvifica perché è vuota e non ha melodie come una conchiglia di mare ma cupa piega infossata che il gelo scava nella terra, non vita, inospitale e incapace a accogliere vita.
Dominica ci proietta le sue allucinazioni ( le nostre?) senza un briciolo di commiserazione ( la fede è allucinata- le orazioni giaculatorie di beghine, gli esoscheletri contorti,….); è un paesaggio interiore costruito su uno esteriore che è ripugnante e tutta una serie di sostantivi ce ne dà conferma (gelidume- delicto- inferi nudi- cogitazioni affoschite,…) Continua a leggere →
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